Riportiamo qui integralmente la lettere scritta e pubblicata dall’Adige dal presidente del Forum Massimiliano Pilati. La lettera promuove un appello alla pace e l’intraprendenza della realtà sociale che sta dando tutto il suo supporto al popolo ucraino, citando la Carovana giunta a Leopoli il 1 aprile, un importante atto e simbolo di interposizione nonviolenta. Le parole conclusive del presidente infine emergono da una riflessione sul significato delle azioni umanitarie e della loro importanza come baluardo nel cielo buio della guerra, marcando quanto l’educazione alla pace e ai diritti umani sia una cosa non solo sentita dai giovani, ma fondamentale per avere un modo che poggia sui diritti umani e la pace come valori principali.
La guerra da qui
Trent’anni fa, la Marcia dei 500 è partita da Ancona, ha attraversato l’Adriatico e, da Spalato a Sarajevo, ha realizzato quella che – chi c’era se lo ricorda – è stata una delle azioni di interposizione nonviolenta più eclatanti della nostra storia recente. Una delle più evidenti e mediatiche ma non l’unica: in Palestina, Colombia, Libano, Siria (solo per nominare i luoghi dove realtà come Operazione Colomba utilizzano questo approccio per affrontare guerre, conflitti e occupazioni), queste azioni sono all’ordine del giorno.
Nel 1992, le 500 persone guidate da don Tonino Bello entrarono nel cuore della guerra sperimentando e mostrando a tutte e tutti noi l’esistenza di alternative alle logiche internazionali, alla corsa alle armi, alla violenza.
Guardando le immagini di quel periodo è facile ritrovare il video del ritorno dei e delle 500 al porto di Ancona: un giornalista chiese a don Tonino Bello se, dopo la loro marcia, c’era più speranza di pace nei Balcani e lui rispose: “penso di sì. Ma oltre che in Bosnia, anche in Italia e in Europa”. Già prima del 24 febbraio di quest’anno quella promessa, l’idea di poter avviare un percorso diverso per tutte e tutti, era stata disattesa dalla nostra ambiguità.
Trent’anni dopo l’Europa assiste ad un’altra guerra dentro casa, ognuno di noi può fare qualcosa di più e di concreto per fermare questo scempio.
Da sempre siamo accanto agli ultimi, al fianco delle vittime con azioni umanitarie e iniziative di solidarietà internazionale. Vengono momenti in cui però “la pace attende i suoi artefici” e noi non possiamo disattenderla. Per questo trent’anni dopo, una nuova azione di interposizione nonviolenta viene promossa da oltre 100 organizzazioni della società civile e sostenuta da oltre 800 persone: partirà venerdì 1 aprile, di mattina, da Gorizia (altro simbolo di quell’altra guerra) verso Leopoli, lungo i tracciati della Storia. Tra le tante persone in partenza ci saranno anche i trentini Marco Baino e Alberto Tamanini: come Forumpace sosteniamo con forza questa iniziativa, pronti e pronte a rilanciarne i frutti, a servizio di queste comunità in movimento.
“Cosa posso fare, io?” è una domanda giusta, ma non sufficiente. Questa guerra non sarà risolta da azioni individuali, sicuramente non le nostre ma nemmeno quelle che riguardano i “grandi della Terra”. La dimensione individuale non è sufficiente ad affrontare e risolvere le crisi che ci troviamo a fronteggiare. È il momento di pratiche collettive finalizzate a stravolgere lo stato delle cose: Tonino Bello attaccava il “monoteismo della pace” messo in crisi dalla “scoperta” della stretta relazione tra pace e giustizia sociale. “Si è asserito – e si continua ad asserire – che collegare il discorso sulla pace (e quindi il discorso sulla guerra) con i discorsi sull’economia perversa che domina il mondo, sul profitto, sulla massimizzazione del profitto, sui debiti del Terzo mondo, sulla crescente divaricazione tra i Nord della Terra e i Sud, significa fare la parte degli utili idioti”. È in questo che sta la nostra ambiguità: anche con la Russia (come con molti altri Stati nel mondo) la nostra ambiguità ha portato sempre a scegliere l’utile dittatore. Per costruire la pace serve scegliere di uscire da quella ambiguità.
Richiamare oggi Tonino Bello e quel mondo non significa rimpiangere un passato d’oro che non abbiamo più a disposizione ma mostra il fallimento di intere generazioni, incapaci di farsi carico di quelle promesse.
Le stesse che oggi scuotono le nostre piazze, le assemblee delle nostre scuole, i cortei e le occupazioni, le chat, i video su TikTok. Fanno fatica a stare sulle pagine dei giornali e, quando succede, è difficile riuscire a rendere le connessioni e l’intersezionalità che le attrici e gli attori di queste lotte hanno ben chiare in mente e nelle azioni che realizzano.
Sabato 26 marzo, durante il convegno delle Acli “In Movimento”, Lorenzo Tecleme (Fridays for Future) lo ha spiegato molto bene, raccontando il senso che Fridays for Future ha dato alla locuzione “giustizia climatica”. Una lotta che ha bisogno di pratiche collettive: Tecleme ci ha raccontato di una contro-contestazione che ha incrociato durante lo Sciopero per il Clima a Bologna, il 25 marzo. Un trentenne, ecologista e attivo, contestava la piazza, il corteo, invitando i suoi partecipanti ad agire nel proprio privato, cambiando il proprio stile di vita. Una persona della generazione subito precedente a quella di Tecleme che, in piazza, contestava l’idea per cui l’azione politica dovesse essere collettiva: “per chi era alle scuole superiori, come me, nel 2019 – ha raccontato Tecleme – l’arrivo di Fridays è stato una cosa incredibile. Non è stato qualcosa che ha coinvolto quella minoranza di studenti politicizzati che le proteste le organizzano sempre: è stato qualcosa che ha coinvolto tutti, è stato qualcosa per cui in ogni classe ci si incontrava e se ne parlava. E qualcosa di molto simile è successo in Università. È stato veramente un’ondata, che ha coinvolto tutti e su cui tutti si sono fermati a riflettere”.
Questo stesso sguardo collettivo e attento, intersezionale e mescolato è quello che abbiamo visto mercoledì, nel cortile di Palazzo Thun, insieme a Civico 13, Deina Trentino, Associazione 46° Parallelo e Centro per la Cooperazione Internazionale. Giovani e non, a ragionare su come siamo arrivati fino alle bombe su Kiev e su cosa possiamo fare noi. Noi, non io. Dobbiamo tornare a guardare a questa dimensione: collettiva, politica, di parte. Abbiamo bisogno di agire sapendo che non c’è pace senza giustizia sociale, ambientale e climatica.
Ecco, allora, che l’impegno è ancora una volta quello di costruire modi nuovi di dare forma all’azione collettiva. Cedere potere, perché è evidente che il modo in cui lo abbiamo esercitato fin qui è inadatto ad affrontare presente e futuro. Mescolare generazioni e sguardi, perché è naturale pensare “i giovani sono il futuro”, ma è folle immaginare quel futuro senza la parte numericamente predominante della popolazione. Agire collettivamente e politicamente, perché la pace passa attraverso la giustizia climatica, la conversione ecologica, la lotta alle disuguaglianze. Qui ed ora. Non ci sarà pace se non affronteremo i pericoli della siccità che sta colpendo il nostro territorio. Non ci sarà pace se non sapremo interpretare i bisogni materiali di persone e generazioni schiacciate da un’intera esistenza costellata da crisi economiche e sociali. Non ci sarà pace, insomma, se non lasceremo di nuovo che sia la politica, agita nelle organizzazioni per come le abbiamo conosciute noi o fuori, in altri luoghi ancora, quella esercitata in modo collettivo, a immaginare e costruire una società più giusta per tutte e tutti.
Massimiliano Pilati
Presidente Forum trentino per la pace e i diritti umani