Da ottobre seguiamo con sgomento quanto sta accadendo in Israele e Palestina. Non volendo restare inermi davanti all’orrore dell’ennesima guerra, abbiamo pensato a quale contributo possa dare il territorio trentino per contribuire a portare ad un cessate il fuoco a Gaza e ad una successiva pace tra Israele e Palestina.
Fin dal momento della sua creazione, il Forum trentino per la pace e i diritti umani è stato pensato come un interlocutore diretto della politica locale, a cui può fornire consiglio e supporto per tutti quei temi che riguardano la pace e i diritti umani. Ma non solo: da sempre, come Forum, crediamo nel potere delle nostre istituzioni locali e per questo, su stimolo dell’Associazione Pace per Gerusalemme, abbiamo lavorato ad una mozione sul cessate il fuoco a Gaza e per una pace giusta in Israele e Palestina da proporre ai nostri Comuni trentini e al Consiglio Provinciale. Auspichiamo che questi attori inoltrino a loro volta il testo della presente mozione agli organi di governo della Provincia Autonoma di Trento e al Commissariato del Governo affinché le auspicate pressioni istituzionali possano esprimersi in ogni sede opportuna, nazionale ed internazionale, incluso l’Ufficio per i rapporti con l’Unione europea della Provincia Autonoma di Trento.
Quando abbiamo pensato alla mozione, verso i primi giorni di novembre, il Consiglio Provinciale era appena stato rinnovato e non ancora operativo nelle sue funzione e quindi era impossibile poter proporre questo nostro contributo, che inviamo invece ora leggermente aggiornato.
Siamo consapevoli che sia ai Comuni che alla nostra Provincia non competano prettamente i temi di politica estera ma riteniamo doveroso che ci si attivi in ogni territorio sul bisogno di Pace.
Abbiamo inviato questa proposta di mozione ai Presidenti dei gruppi consiliari della Provincia Autonoma di Trento, con l’invito ad usarla come spunto iniziale per una utile discussione sul tema che possa coinvolgere anche la popolazione.
Ricondividiamo il comunicato del Centro Pace ecologia e diritti di Rovereto e del Cantiere di Pace del Trentino, in vista del 6 agosto, anniversario del bombardamento di Hiroshima.
“Siamo preoccupati. Ogni giorno sentiamo notizie sulla concreta possibilità di una escalation nucleare.
Non si tratta solo delle frequenti minacce di usare bombe nucleari ma anche del fatto che sempre più centrali nucleari sono in territorio di guerra, a forte rischio di incidente. Ci preoccupa inoltre il crescente armamentismo e militarismo che vuol far credere alle persone che la guerra è inevitabile e che la vita degli esseri umani è sacrificabile.
Siamo preoccupati e crediamo che l’unica risposta sia “Prendere la Pace nelle proprie mani”: denunciare questa situazione e rispondere alla cultura dell’oscurità e della morte.
Il 6 di agosto, anniversario della prima bomba atomica su Hiroshima, già da tempo si svolgono manifestazioni in tutto il mondo di luci e colori. In particolare saremo presenti il 6 agosto a Padova con i “Beati costruttori di Pace” alle ore 8.15, momento di silenzio nell’ora del bombardamento dove saranno letti i messaggi da parte degli Hibakusha, sopravvissuti alla bomba di Hiroshima del 6 agosto 1945.
Gli Hibakusha, le persone colpite e sopravvissute all’atomica, sono state le più resistenti e più determinate a lottare per eliminarla. I trattati e il diritto internazionale da soli non bastano, rimangono determinanti le persone, tutte, ciascuno di noi, per la riuscita della vita di tutti gli esseri viventi e di Madre Terra.
Perciò, anche quest’anno, 78 anni dopo i bombardamenti del 1945, facciamo memoria dei morti e rendiamo onore ai sopravvissuti, aggiungendo il nostro impegno al loro sforzo di eliminare tutte le armi nucleari dal pianeta. Per dire: Mai più Hiroshima! Mai più Nagasaki!
Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW), entrato in vigore nel 2021, è ormai legge per 68 Stati e in un’altra trentina sono in corso le procedure di ratifica. L’Italia rimane ancora fuori da questo consesso, ma avrà una nuova opportunità tra il 27 novembre e il 1 dicembre, quando si terrà all’ONU a New York la seconda conferenza degli Stati parti del TPNW. Solo pochi giorni fa, la Commissione Esteri della Camera ha approvato all’unanimità una Risoluzione sul disarmo nucleare in cui si impegna il Governo a valutare la possibilità di parteciparvi come Paese osservatore.
La Rete Italiana Pace e Disarmo affronta questi temi e indica impegni e proposte operative su cui lavorare quali, ad esempio, il sostegno alla difesa civile non armata e non violenta; la costruzione di corpi civili di Pace, la ricerca sulla Pace e la prevenzione dei conflitti; la riduzione della spesa militare, l’impegno per la riconversione dell’industria delle armi verso il settore del civile.
Nel Disarmo e in particolare nel Disarmo nucleare è stata individuata la condizione necessaria per dare più spazio alla Pace che spalanca le porte verso l’amore per l’umanità.
Nella campagna “Italia Ripensaci” sono indicate azioni urgenti da affrontare insieme alle istituzioni. Per questo sono state presentate ai nuovi consiglieri comunali una lettera firmata da diverse associazioni e una bozza di delibera proposta da “Rete Italiana Pace e Disarmo” e da “Senza atomica” per aderire alla campagna “Italia Ripensaci” con la quale si chiede al governo italiano la ratifica del Trattato ONU per un mondo libero dalle armi nucleari.”
Centro Pace ecologia e diritti di Rovereto, Cantiere di Pace del Trentino
Nei giorni scorsi è stato presentato il documento “Un Green Deal per le foreste dolomitiche“, un appello che il Forumpace ha sottoscritto insieme a 27 altre realtà del nostro territorio. Perché la cultura della pace e dei diritti passa e coinvolge anche i temi della sostenibilità. Perché la tempesta Vaia e i suoi effetti parlano direttamente al modo in cui concepiamo il nostro modello di sviluppo, al modo in cui stiamo nel mondo – come individui e come collettività.
Come Forumpace crediamo fermamente che sia fondamentale che tutte le componenti della società si facciano parte attiva per dare alla conversione ecologica – di cui abbiamo bisogno – gli elementi culturali, sociali e politici per essere, infine, “socialmente desiderabile”.
Questo il senso della nostra adesione al documento realizzato dal Tavolo di lavoro sul “dopo Vaia” promosso da SlowFood Trentino. Il documento non rappresenta che un primo passo. Nelle prossime settimane, sulla base di questo canovaccio, sarà avviata una fase di ascolto del territorio per raccogliere idee e indicazioni per dare sostanza all’idea forza di questo elaborato, ovvero la zonizzazione del territorio per delineare le risposte più appropriate a partire dalle caratteristiche specifiche dei territori colpiti da Vaia. Che si tradurranno in altrettante proposte del Tavolo di lavoro rivolte alle istitizioni locali.
Grazie alla relatrice Serena Piovesan, referente provinciale di Idos, ai relatori in presenza e a distanza Paolo Boccagni di Università di Trento e Gianfranco Schiavone del Consorzio Italiano di Solidarietà, che hanno saputo dare uno sguardo europeo, italiano e trentino del fenomeno migratorio.
La pandemia da Covid-19, che nel 2020 ha “bloccato tutto”, non ha fermato invece le migrazioni, sottolineando ancora una volta come il migrare sia un macro-fenomeno globale e quanto sia importante studiarlo e comprenderlo, grazie anche all’utilizzo di strumenti come questo dossier:
A metà del 2020 i migranti nel mondo sono 281 milioni (per il 48% donne), un numero pari al 3,6% dell’intera popolazione planetaria (7,8 miliardi di abitanti), cresciuti in un solo anno di ben 9 milioni. Così, nonostante le chiusure delle frontiere, i bandi di ingresso nei confronti dei cittadini di circa 70 Paesi e le oltre 43mila misure direstrizione dei viaggi internazionali adottate, a livello globale, nei primi mesi dell’anno per contrastare la diffusione del Covid-19 (tutte misure che, secondo le stime Oim, avrebbero tenuto bloccate circa 3 milioni di persone bisognose di trasferirsi), l’aumento dei migranti internazionali ha superato la crescita media del quadriennio precedente (+6 milioni all’anno)
L’attenzione si è rivolta inoltre sulla Rotta Balcanica, che ad oggi è la via principale d’accesso dei migranti extracomunitari per entrare in Europa. Roberto Calzà, referente diocesano per la pastorale delle migrazioni, ci ha raccontato il progetto Cambiamo Rotta! che mira ad aiutare le organizzazioni che operano nei balcani per aiutare e salvare le vite dei migranti.
Ciò di cui si sente soprattutto la mancanza è una classe dirigente dalla levatura culturale, dalla statura politica e soprattutto dalla caratura umana molto più consapevole dell’oggi e all’altezza delle sue sfide globali; una classe dirigente capace di comprendere, in particolare, che sulle politiche dell’immigrazione e dell’integrazione si gioca il destino non solo degli immigrati che vivono in Italia, ma dell’intero Paese, il bene senza eccezioni comune di tutta la collettività; una classe dirigente che tolga dalle secche di un disimpegno politico che dura da decenni le molte ottime idee e sperimentazioni che nel frattempo sono provenute dalla società civile, dal privato sociale e persino da strutture istituzionali (e che riguardano, ad esempio, la revisione dei meccanismi di ingresso dei lavoratori stranieri, il riconoscimento dei titoli di studio, la riforma della cittadinanza, i corridoi umanitari, la gestione dell’accoglienza, le politiche di integrazione); una classe dirigente, quindi, che, sulla base di quella consapevolezza e di questa messa a frutto, sblocchi finalmente il passaggio dalle buone prassi alle politiche, dalle buone proposte alle policy. Ecco: è esattamente a questo che oggi – soprattutto in questo nostro tempo – il Dossier Statistico Immigrazione intende ancora dare il suo contributo.
Da anni sono impegnato nella lotta per i diritti umani, per una società più equa, per la pace e per il disarmo. Purtroppo spesso capita che le battaglie politiche che porto avanti non vengano accolte dalle istituzioni alle quali mi rivolgo, è una cosa che chi lotta mette in conto e si va avanti comunque agendo per un cambiamento positivo della nostra Società.
Raramente però mi è capitato di assistere alla scena in cui parte dei rappresentanti della istituzione più alta della nostra Repubblica, dopo aver “bocciato” il ddl Zan, hanno schernito e offeso con la loro schiamazzante esultanza le persone che speravano invece che il ddl Zan diventasse legge per sentirsi più protetti e sicuri. PERSONE, non gay, non lesbiche, non trans, non disabili (lo sappiamo vero che si parlava anche di abilismo nel ddl Zan??) ma PERSONE. Persone con una loro dignità, un loro vissuto.
Giustamente si può essere in disaccordo con lo stile di vita che una persona sceglie per se, ma non dovrebbe mai mancare il rispetto nei suoi confronti, soprattutto da parte di chi dovrebbe invece rappresentare tutte le italiane e gli italiani, TUTTE, TUTTI (o, se vogliamo imparare ad essere inclusivi partendo dal nostro linguaggio, TUTTƏ) nessuno escluso.
In questi giorni in tutta Italia (e martedì 2 novembre anche a Trento) si stanno tenendo nelle piazze italiane numerose manifestazioni di rabbia, sdegno e denuncia di quanto successo l’altro giorno in Senato. Molte persone si sentono ferite da quanto successo e giustamente vogliono esprimere queste loro emozioni nella piazza. E’ giusto, io, pur non potendo partecipare, sarò con loro. E’ il momento di chiedere rispetto e di far valere la dignità di tutte le cittadine e i cittadini del nostro Paese. In questi giorni ho parlato con molte amiche e amici LGBT+ e ho percepito in loro tanta delusione, rabbia, senso di abbandono e sfiducia nelle nostre istituzioni.
Per questo mi permetto di lanciare un appello alle istituzioni più vicine a noi cittadini: ai nostri Comuni, alla nostra Provincia. Diamo un segnale a queste persone, facciamo sentire loro la nostra vicinanza, non solo simbolica. Pensiamo a dei dispositivi che possano andare loro incontro e soprattutto stimoliamo e facciamo pressione sul Governo e sul Parlamento nazionale perché non accadano più cose del genere e perché finalmente si pensi a tutelare parte della nostra società civile che non si sente ne rispettata ne tutelata.
La maggioranza del nostro Paese trova assolutamente normale questo. Si badi bene, non è solo una questione politica, è anche cosa culturale e infatti nell’appellarmi alle nostre istituzioni territoriali penso anche alla necessità di portare nelle nostre valli e nelle nostre case i temi dei diritti civili, del rispetto per l’altro (chiunque esso sia) e si contribuisca a creare un sereno clima di convivenza.
Nelle recenti elezioni amministrative tenutesi in varie parti d’Italia abbiamo assistito ad un pericoloso segnale di abbandono del voto da parte di moltissime persone, recuperiamo la fiducia dei cittadini e delle cittadine (TUTTƏ) nelle istituzioni, partiamo dal nostro territorio, partiamo dal Trentino.
Massimiliano Pilati Presidente Forum trentino per la pace e i diritti umani
In questi giorni in Trentino i nostri media stanno dando spazio a iniziative volte a onorare la memoria dei caduti trentini nelle guerre.
E’ successo sia in occasione dell’apertura ufficiale del Museo degli Alpini sul Doss Trento che durante la tappa del passaggio della Staffetta Cremisi a Trento per il centenario della traslazione della salma del Milite ignoto da Aquileia a Roma. Nei prossimi giorni poi anche il Consiglio Comunale di Trento sarà chiamato ad esprimersi per una delibera che, rifacendosi ad un’iniziativa di carattere nazionale, vuole conferire la cittadinanza onoraria ai militi ignoti di tutte le nazionalità.
Iniziativa per la pace – Comune di Trento, 2015
Al di là della retorica militarista che spesso accompagna queste iniziative credo sia giusto onorare il ricordo di chi è morto durante le guerre passate e a maggior ragione sia giusto ricordare i militi ignoti, persone che non hanno avuto nemmeno la possibilità di essere seppellite con il loro nome e cognome e un posto dove essere piante dai loro cari. Molto interessante la volontà di onorare i militi ignoti di tutte le nazionalità senza invece fermarsi ai soli italiani.
Uomini morti spesso senza un perché, troppo spesso ubbidendo a ordini assurdi impartiti da generali che li vedevano solo come numeri di cui disporre liberamente e non come esseri umani. Onorare queste persone senza nome e simbolo dei milioni di ragazzi, un’intera generazione, che persero la vita in battaglia.
La nostra Repubblica, sin dalla sua fondazione, ha voluto allontanarsi dall’orrore della guerra. L’Italia, ce lo ricorda l’articolo 11 della Costituzione, ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Ecco che allora per onorare a pieno la nostra Costituzione e in occasione dei cento anni del “milite ignoto”, simbolo di pace e fratellanza universale, sarebbe giusto dare onore e riabilitare finalmente anche altre figure vittime della guerra. Mi riferisco alle migliaia di militari disertori spesso passati per le armi sul posto, senza processi. Giustiziati con una violenza ingiustificata e sempre accompagnata da diffamazione, vergogna, umiliazione. Umiliazione e disonore in cui veniva a cadere anche la stessa famiglia di questi ragazzi.
Giovani passati alla storia come codardi e vili che si rifiutarono di battersi e di morire per niente, che vollero mettere fine ai massacri, rifiutarono di uccidere altri esseri umani con differenti uniformi; persone che cercarono di fraternizzare oltre le trincee. Da anni gira un appello al Presidente della Repubblica ”per la riabilitazione storica e giuridica dei soldati italiani fucilati per disobbedienza o decimati nel periodo 1915-18”. Nell’appello si ricorda come su di un esercito italiano di 4 milioni e 200 mila soldati le denunce all’autorità giudiziarie militare dalla dichiarazione di guerra (24 maggio 1915) fino alla “vittoria” (4 novembre 1918) furono complessivamente 870 mila, delle quali 470 mila per mancata alla chiamata (di cui 370 mila contro emigrati che non erano rientrati) e 400 mila per diserzione, procurata infermità, disobbedienza aggravata, ammutinamento; ma di molte fucilazioni sul campo, effettuate soprattutto dopo Caporetto e eseguite, nella maggior parte dei casi, senza un regolare processo, non sono rimaste notizie certe, così come delle “decimazioni” al fronte di interi reparti volute dai comandanti per “ristabilire la disciplina”. Il tempo è maturo per compiere questo atto di giustizia storica.
Rendere l’onore e restituire dignità ai tanti giovani disertori, renitenti, obiettori, che rifiutarono il massacro cercando di salvare la vita. Loro avevano ragione. I generali avevano torto.
La riabilitazione dei disertori avrà un senso soprattutto per noi. Onorare i fuggiaschi delle guerre di ieri e sostenere i fuggiaschi dalle guerre di oggi di tutto il mondo contribuirà forse finalmente a farci capire l’impellente necessità di abbandonare definitivamente l’orrore della guerra, avventura senza ritorno. In questa fase, la retorica militarista assume e riassume anche altre forme: riproporre la leva militare come strumento formativo per i nostri giovani è un altro – l’ennesimo – sintomo di una società che fatica a dare valore non solo all’opposizione ad ogni violenza ma alla disobbedienza come virtù, espressione di un pensiero critico, insieme personale e collettivo.
Rifiutarsi di combattere una guerra è stato considerato per anni un atto vile e codardo dalla nostra società: è ora di cambiare, di riconoscere e dare dignità al valore educativo della disobbedienza. Cominciamo da Trento.
Massimiliano Pilati
Presidente del Forum trentino per la pace e i diritti umani
Il Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani ha inviato una lettera al Presidente Fugatti, al Presidente del Consiglio Kaswalder, all’Assessore alla cooperazione per lo sviluppo Gottardi, ai Consiglieri e alle Consigliere provinciali, alle Sindache e ai Sindaci trentini per esprimere la più grande preoccupazione per quanto sta avvenendo in Afghanistan.
Allo stesso tempo, il Forum ha espresso alle istituzioni provinciali e ai Comuni profondo sconforto per le reazioni di alcuni Paesi europei che affrontano l’acuirsi della crisi umanitaria in Afghanistan unicamente da un punto di vista utilitaristico, concentrando la propria attenzione sul “rischio di una nuova crisi migratoria” e sul “rischio terrorismo”.
In particolare, il Forum ha chiesto alle istituzioni di attivare le reti territoriali e nazionali allo scopo di predisporre corridoi umanitari direttamente con il Trentino, terra di accoglienza, per coloro i/le quali rischiano la propria vita rimanendo in Afghanistan, con particolari tutele e garanzie per le donne afgane e le loro famiglie
Il Forum ha chiesto anche di facilitare l’individuazione e sostenere le realtà che sul territorio della Provincia e dei Comuni trentini si renderanno luoghi di accoglienza per le persone in fuga dall’Afghanistan e di farsi portavoce con il Governo affinché vengano attivate iniziative simili sul territorio nazionale e per riattivare iniziative simili nei confronti delle persone lungo le principali rotte migratorie.
Lo scorso 23 luglio 2021 30 organizzazioni non governative chiedevano ai Paesi europei di cessare le deportazioni e i rimpatri verso l’Afghanistan, sia in forma diretta che attraverso il coordinamento con altri Paesi, ma – anzi – di rivedere le decisioni negative già adottate così come i decreti di espulsione alla luce dei rischi, concreti e prevedibili, di future persecuzioni.
A queste prese di posizioni segue quella di Emergency, da sempre attiva e presente sul territorio afgano: “mentre in Afghanistan si combatte ovunque, il pensiero di alcuni Paesi europei è rimpatriare i profughi afgani e riportarli indietro, in un Paese che è meno sicuro che mai”.
I dati di UNAMA, la missione ONU attiva nel Paese fin dal marzo 2002, evidenziano questa realtà: 5.183 vittime civili complessive negli ultimi 6 mesi, tra feriti e deceduti, con un aumento del 47% rispetto allo scorso anno. Una cifra, peraltro, che in un solo semestre eguaglia i record negativi registrati nel 2016, nel 2017 e nel 2018.
In questi giorni, il ricordo di Gino Strada ha coinvolto tante e tanti, a volte a sproposito. Lui lo ricordava sempre: “non credere una parola, quando diranno che hanno “sconfitto il terrorismo”. Sono bugie, enormi bugie che difenderanno con i denti per coprire i propri crimini e i propri interessi. Ma i morti e i feriti sono lì, se ne trovano i resti e la memoria, se si ha il coraggio di farlo”.
L’Afghanistan non è – e non era – un Paese sicuro.
Per il Forum trentino per la pace e i diritti umani, il Presidente
“Dal 2019 ad oggi, ogni venti giorni nello scalo genovese getta l’ancora una delle sei navi cargo della Bahri, già carica di armamenti ed equipaggiamenti militari o pronta a caricarne di nuovi negli scali statunitensi verso cui fa rotta prima di tornare a Gedda, in Arabia Saudita. Il contenuto di queste “navi della morte”, come denunciato dal Calp e dall’osservatorio Weapon Watch, finisce poi nelle mani della Guardia civile saudita, tuttora impegnata in scenari di guerra come quello yemenita”.
Lo riporta il quotidiano Domani, con un pezzo di Futura D’Aprile che dà atto della protesta organizzata al porto di Genova per la giornata di oggi dal Collettivo autonomo dei lavoratoti portuali (Calp), iniziativa che non nasce nel vuoto ma che segue le denunce circa l’utilizzo dei porti italiani come attracco per mercantili sauditi che portano armi in Medio Oriente per sostenere la guerra in Yemen e non solo.
Ancora a gennaio 2020, Patrick Wilken, ricercatore di Amnesty International, dichiarava: “Adesso, la volontà politica dei governi di rispettare il diritto internazionale viene messa nuovamente alla prova. Attivisti e lavoratori portuali sono già ampiamente allertati rispetto alla minaccia che la ‘Bahri Yanbu’ aggiri le norme internazionali in nome dei lucrosi accordi in materia di armi che hanno favorito uccisioni di civili in Yemen e una terribile catastrofe umanitaria“.
Le proteste del Calp, a Genova, risalgono a maggio 2019, quando “i portuali si rifiutarono di caricare sulla Bahri Yanbu due generatori registrati per uso civile ma che sarebbero stati in realtà impiegati dalla Guardia civile nel conflitto in Yemen”. Un’azione di boicottaggio che ha portato la compagnia saudita ad abbandonare lo scalo di Genova per un po’ ma che fece finire 5 portuali sotto inchiesta per associazione per delinquere.
Una protesta che ha trovato il sostegno di Papa Francesco, che il giugno scorso ha incontrato i portuali che avevano bloccato il carico nel 2019. Oggi quella compagnia è di nuovo in porto, a Genova, e il Calp sarà in presidio: una protesta che riguarda il contenuto del cargo, l’uso dei porti italiani e le politiche industriali, che ancora vedono nell’industria delle armi un settore imprescindibile, ma che riguarda anche la mancanza di informazioni e trasparenza su questi traffici.
Ad oggi il Governo italiano non ha cambiato il proprio approccio: non ci sono nuove regole per quanto riguarda il traffico d’armi che, anzi, sono state allentate per quanto riguarda l’export verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti nonostante il loro coinvolgimento nel conflitto in Yemen.
Temi sui quali, come Forumpace, ci siamo espressi già molte volte: non possiamo allentare l’attenzione. Esistono norme – interne e internazionali – che riguardano la regolamentazione delle esportazione di armi e prodotti bellici: in Italia, la legge 185/1990 dà il quadro normativo di riferimento, lo stesso quadro che ha inibito l’export verso Arabia ed Emirati Arabi durante il 2019.
Una legge, però, troppo spesso bypassata o ignorata, preferendo alla tutela dei diritti umani le logiche del mercato. Su questo, Rete Italiana Pace e Disarmoha promosso, ancora lo scorso maggio, “un appello al Governo per ribadire la necessità di applicare in modo rigoroso e trasparente la Legge 185/90 e le norme internazionali che la rafforzano. Invitano inoltre il Parlamento a controllare in modo puntuale e approfondito le operazioni che riguardano l’export di armamenti: sono regole e controlli preposti alla salvaguardia della pace e della sicurezza comune, al rispetto dei diritti umani, alla tutela delle popolazioni e per dare attuazione al ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” sancito dalla nostra Costituzione (art.11)”.