Hiroshima e Nagasaki, perché non basta ricordare

Incapaci di vedere?

L’essere umano, con la sua capacità di alterare la natura a proprio piacimento, è la principale minaccia per se stesso nella stessa misura in cui è la principale speranza per la propria sopravvivenza. A ricordarci questo, è ogni giorno la questione del cambiamento climatico provocato dalle attività antropiche, il quale mostra le grandissime capacità dell’essere umano di auto annientarsi in maniera quasi inconsapevole. 

L’incapacità di vedere come la propria azione è causa del proprio stesso male, è tale perché l’effetto delle proprie azioni negative è indiretto. 

Se però, l’essere umano può fare fatica a vedere gli effetti delle proprie azioni perché indiretti, che succede quando gli effetti sono diretti, visibili, concreti e soprattutto già conosciuti, come quelli di un’esplosione atomica? 

Succede che, per “aumentare” la propria sicurezza, i governi spendono migliaia di risorse ogni anno per fabbricare armi atomiche e mantenerle attive, che aumentando sempre di più di numero e di potenza, rendono la terra un posto più pericoloso, anziché più sicuro.  

È bene ricordare dunque, quello che è successo esattamente 76 anni fa, in un tempo che sembra così lontano in un luogo che lo è altrettanto, il Giappone, ma che riguarda tutti noi ancora oggi da vicino, visto che all’inizio del 2021 sono ancora 13.100 circa le testate nucleari attive nel mondo (1) 

6-9 agosto 1945 

Oggi, 6 agosto 2021, ore 8.16, la stampa nazionale e locale sembra essersi dimenticata di quanto successo 76 anni fa. Il “green pass”, le olimpiadi e Messi che lascia il Barcellona hanno monopolizzato la scena dell’informazione, mostrando quanto sia pericoloso relegare gli eventi nei meandri del passato, come se non ci potesse toccare più. 

La mattina del 6 agosto 1945, alle ore 8.16, un grande bagliore sorprende i cittadini di Hiroshima in Giappone. Seguirà una grande esplosione, che raderà al suolo la città, uccidendo sul colpo circa 80.000 persone, nella quasi totalità civili (2) 

Tre giorni dopo, come se la quantità di morti non fosse stata sufficiente, una seconda esplosione, questa volta a Nagasaki, provocò 40.000 vittime all’istante. (3) 

Stiamo parlando degli unici due ordigni atomici della storia fatti esplodere sulla popolazione umana. A eseguire questo massacro, fu il governo degli Stati Uniti D’ America, che provocò in totale, tenendo conto anche delle morti nei mesi successivi causate dagli effetti delle radiazioni nucleari, circa 400.000 mila vittime. (3) 

foto da: public domain

Leó Szilárd, uno dei fisici che partecipò al Progetto Manhattan, a proposito del mancato processo ai mandanti ed esecutori della tragedia disse:

« Se i tedeschi avessero gettato bombe atomiche sulle città al posto nostro, avremmo definito lo sgancio di bombe atomiche sulle città come un crimine di guerra, e avremmo condannato a morte i tedeschi colpevoli di questo crimine a Norimberga e li avremmo impiccati. (3)

Superando però la logica del colpevole, andando oltre alla storia e ad i protagonisti che l’hanno scritta, è bene sottolineare quanto sia stato un gesto freddo, disumano e totalmente razionale e programmato.

“Non ho mai avuto paura nella mia vita dell’uomo solo, ma ho sempre avuto molta paura dell’uomo organizzato. “

Fabrizio De André

Non è stata infatti una scelta “istintiva”, basata su un momento d’emergenza, (il Giappone era ormai rimasto solo, dopo che anche la Germania di Hitler aveva alzato bandiera bianca). Ma una scelta iniziata già nel 1942 con il progetto Manhattan, diretto da Robert Oppenheimer.

L’intento degli Stati Uniti era quello di concepire una bomba a fissione nucleare (o bomba atomica) prima del progetto atomico della Germania nazista. 

Gli scienziati che lavorarono al progetto, fra cui Albert Einstein, dopo un primo momento di entusiasmo per la ricerca si accorsero ben presto dell’immenso potere distruttivo della bomba atomica.

«e quelle bombe atomiche che la scienza sganciò sul mondo quella notte, erano misteriose anche per gli uomini che le usarono»

La liberazione del mondo – H.G. Wells

Il 16 luglio 1945 a  Socorro, New Mexico viene fatta esplodere la prima bomba atomica della storia, in quello che viene chiamato Trinity Test. (5)

Poco meno di un mese dopo, l’evento di Hiroshima e Nagasaki mostrerà al mondo la forza distruttiva degli ordigni nucleari e soprattutto, la straordinaria capacità autodistruttiva dell’essere umano.

Il quotidiano eritreo, 9 agosto 1945, effetti della bomba a Hiroshima

Se si vuole avere un’idea della portata distruttiva delle armi atomiche, cliccando qui si può simulare l’effetto di un’eventuale esplosione atomica, da un qualsiasi punto della terra. Impressionante vedere l’effetto che la “tsar bomba” la bomba atomica più grande testata dall’URSS, provocherebbe se esplodesse nel centro di Trento: il raggio distruttivo arriverebbe da Bolzano fino alle porte di Verona e Vicenza, spazzando via completamente tutto il territorio Trentino.

La deterrenza nucleare è sufficiente?

La reazione degli Stati di fronte a tale catastrofe però, non fu quella di fare un passo indietro ma anzi, la corsa agli armamenti nucleari partì proprio da quella data, arrivando ad un picco poco dopo il 1985 con ben 70.000 ordigni atomici prodotti, principalmente dai due protagonisti della Guerra Fredda, Usa e URSS. (3)

L’aumento e l’espansione delle armi atomiche in molti stati ha mostrato la l’esistenza di un possibile meccanismo presente nelle dinamiche internazionali, quello che viene chiamato deterrenza nucleare, ossia la credenza che gli stati sono scoraggiati nell’utilizzare tali armi perché un’eventuale rappresaglia sarebbe “totalmente distruttiva” (6)

 “Sappiamo che la deterrenza nucleare può venir meno, sia attraverso decisioni sbagliate, escalation durante una crisi, una serie di errori meccanici e umani, o atti malevoli che portino ad un uso involontario. Infatti più volte essa è venuta meno, e l’esempio più famoso è la Crisi dei missili di Cuba del 1962.Una catena di eventi che porti alla guerra nucleare può emergere anche quando nessun leader politico ritenga che sia nell’interesse dello Stato iniziare la guerra, ed entrambe le parti agiscano in modo inteso ad evitarlo. La lunga lista di incidenti nucleari, malfunzionamenti, contrattempi, falsi allarmi e incidenti mancati per un soffio, spesso innescati da errore meccanico e umano, continua a crescere. Tali incidenti sono incidenti relativi ad aerei e sottomarini armati nuclearmente, sistemi di allarme che scambiano stormi di oche o riflessi di luce solare per lanci di missili nemici, squadre di manutenzione che fanno cadere utensili e fanno saltare in aria silos di missili, e la perdita temporanea o lo smarrimento di ordigni nucleari.” (6)

Se la deterrenza nucleare è, per ora, l’unico fragile ostacolo contro una possibile guerra atomica, l’ unica soluzione per una reale sicurezza globale a lungo termine è smantellare completamente tutte le armi nucleari presenti sulla terra.

Le prime dichiarazioni a favore del disarmo, arrivarono proprio da quegli scienziati che parteciparono alla ricerca sull’atomica. Nel 1955 in piena Guerra Fredda, Albert Einstein e il filosofo Bertrand Russell scrissero un manifesto firmato da scienziati e intellettuali a favore del disarmo nucleare e contro le armi di distruzione di massa.

Il manifesto Russel-Einstein è rivolto a tutti gli esseri umani indistintamente:

Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare. Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”   (7)

e mette in guardia del pericolo delle nuove tecnologie nucleari, come la bomba all’idrogeno, già capace (allora) di essere 2500 volte più potente della bomba di Hiroshima.

Il Trattato per la Proibizione delle Armi nucleari 

Quello che possiamo fare oggi, come cittadini e come istituzioni, è spingere perché anche il nostro Paese e l’ Unione Europea ratifichi il Trattato Per la proibizione delle armi nucleari

Il TPNW è uno strumento giuridicamente vincolante che prevede la messa al bando e lo smantellamento delle armi nucleari. Approvato il 7 luglio 2017 grazie al voto favorevole di 122 Stati dell’assemblea ONU, proibisce agli Stati di sviluppare, testare, produrre, realizzare, trasferire, possedere, immagazzinare, usare o minacciare di usare gli armamenti nucleari, o anche permettere alle testate di stazionare sul proprio territorio.

Il 22 Gennaio 2021, grazie al raggiungimento della soglia di 50 Stati che hanno ratificato il trattato, entra ufficialmente in vigore la messa al bando delle armi nucleari, un importante passo verso il disarmo globale.  

La mappa degli Stati che hanno firmato, partecipato o rifiutato il trattato.

In Europa, solamente Austria, Svizzera, Il Vaticano, Malta, San Marino e Irlanda lo hanno ratificato . 
Nonostante il governo italiano abbia rinunciato a partecipare al trattato, un sondaggio promosso dalla Campagna ICAN e dai suoi partner nazionali mostra come 7 italiani su 10 siano a favore della firma del TPNW.

Oltre alla minaccia di un’estinzione di massa, cosa che sembra non preoccupare molto il mondo politico, lo spreco di risorse economiche per le armi nucleari è enorme. 

“le 13.400 testate atomiche esistenti nel mondo hanno costi da capogiro: circa 140mila dollari al minuto, per un totale di oltre 70 miliardi di dollari nel 2019 , pari a 24 volte il budget annuale delle Nazioni Unite . Se si calcolano anche i costi indiretti, come i danni ad ambiente e salute o la difesa missilistica per proteggere le testate nucleari, il costo supera i cento miliardi l’anno.” (10)

A noi la scelta

È  giunto dunque il momento di scegliere, di prendere in mano il futuro dell’umanità e mettere da parte il tribalismo che ci portiamo dietro da millenni, per aprire nuove strade di convivenza pacifica tra esseri umani e tra essere umano e natura. 

La questione ambientale infatti, non sarà mai completamente risolta finché esisteranno armi di distruzione di massa, capaci non solo di uccidere in pochi istanti migliaia di esseri umani, ma di distruggere interi ecosistemi in pochi attimi, con la possibilità che la distruzione sia irreversibile, e che questi ecosistemi così fragili, nonché la vita sulla terra non siano più in grado di rigenerarsi.

Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?

Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.”

Manifesto Russel-Einstein

Capire, conoscere, immaginare, cambiare: oltre la nostra insostenibilità

La prima fase del progetto Vivila in 3D si sta avviando alla sua conclusione: dopo la lettura delle etichette e il riuso, la campagna immaginata, progettata e realizzata da tantз ragazzз, in servizio civile e non, affronta la sua terza call to action: vivere e scegliere modi per produrre in modo più sostenibile.

Capire per conoscere, conoscere per immaginare, immaginare per cambiare. 

Per una produzione sostenibile cerchiamo di capire quali siano i maggiori problemi da affrontare, conoscere le vie esistenti e immaginare modalità di cambiamento per agire, in prima persona.

Produzione sostenibile – Vivila in 3d

Il punto di partenza di questa riflessione sembra lontano: il tempo inteso come risorsa, sfruttato ferocemente e piegato alla logica del “poter fare” tutto, a prescindere da tutto. In questo si rispecchia una produzione che estrae le risorse, distorce i rapporti, determina un sistema fatto “di sfruttamento, svalutazione della cura, distruzione degli strumenti di welfare pensati per bilanciare i ritmi – i tempi – di vita delle persone”.

Foto di Mike van Schoonderwalt da Pexels

A questa si contrappone “un modo di produrre sostenibile e consapevole, che guarda alle risorse in modo ragionato, che concepisce il tempo anche al di là della sua natura produttiva”: un tempo diverso cui corrisponde una produzione diversa. Alla base di tutto, la necessità di fare delle scelte per andare oltre l’idea – illusoria – del progresso infinito.

Come per le altre call-to-action, anche in questo caso il viaggio di Vivila in 3D indaga le dimensioni della sostenibilità con uno sguardo miope, aperto, attento all’impatto che possono avere le azioni individuali, le pratiche collettive e le politiche pubbliche separatamente ma, in modo più efficace, se sanno cooperare e trovare strumenti ibridi con cui cambiare il mondo.

Per questo, la seconda tappa di questo percorso racconta Maso Pez e il senso con cui Progetto 92, nelle sue serre, coltiva in maniera sostenibile e costruendo comunità. I progetti portati avanti – Vivaio TuttoVerde, l’officina di assemblaggio, Beelieve – sono tutti pensati sui bisogni e le capacità delle persone coinvolte ma rispondono tutti alla necessità di costruire percorsi di lavoro basati sulla qualità del prodotto e, quindi, delle relazioni.

https://www.facebook.com/vivilain3D/posts/167051448826148

Tra questi progetti, Beelieve offre un elemento ulteriore: la costruzione di reti che vadano oltre la relazione interna alla cooperativa. Ecco, allora, che vengono coinvolti i ricercatori e le ricercatrici del MUSE e della Fondazione Mach così come operatori e operatrici dell’Associazione degli Apicoltori o imprese come Redo Upcycling. Un equilibrio complesso, che tiene assieme tutte le dimensioni della sostenibilità.

La stessa complessità che, in forme e con sfumature diverse, troviamo anche nella valle di Terragnolo, al Masetto: un posto unico, che unisce ospitalità e cultura per raccontare un’altra montagna: “una valle come quella di Terragnolo non ha – e speriamo non avrà mai – grandi infrastrutture e insediamenti industriali: per me, dunque, è una valle sostenibile. “Per contro, però, è una valle che ha subito un forte processo di spopolamento, e che adesso sta cercando di riflettere sul proprio futuro” racconta Gianni Mittempergher, che con Giulia Mirandola ha dato vita al Masetto.

https://www.facebook.com/vivilain3D/posts/168438708687422

“Non si parla di progetti giganteschi, quanto di recuperare i muretti a secco, i terrazzamenti, la coltivazione del grano saraceno e un concetto di turismo lento. Anche se, più che lento, devo dire che mi piace chiamarlo attento. Un turismo che inviti a conoscere il territorio che si sta visitando”.

Una produzione sostenibile, dunque, richiede tempo. Anzi, di più: richiede di scegliere un modo diverso in cui usarlo. Richiede anche di cambiare il punto di vista, di rimettersi in gioco: per questo Vivila in 3D racconterà, con una serie di video-tutorial, modi per autoprodurre alcune piccole cose che possono aiutare nella vita di tutti i giorni.

La campagna sta chiudendo la sua prima fase, insomma, ma il cammino di Vivila in 3D è solo agli inizi.

Armi saudite a Genova: la protesta

“Dal 2019 ad oggi, ogni venti giorni nello scalo genovese getta l’ancora una delle sei navi cargo della Bahri, già carica di armamenti ed equipaggiamenti militari o pronta a caricarne di nuovi negli scali statunitensi verso cui fa rotta prima di tornare a Gedda, in Arabia Saudita. Il contenuto di queste “navi della morte”, come denunciato dal Calp e dall’osservatorio Weapon Watch, finisce poi nelle mani della Guardia civile saudita, tuttora impegnata in scenari di guerra come quello yemenita”.

Lo riporta il quotidiano Domani, con un pezzo di Futura D’Aprile che dà atto della protesta organizzata al porto di Genova per la giornata di oggi dal Collettivo autonomo dei lavoratoti portuali (Calp), iniziativa che non nasce nel vuoto ma che segue le denunce circa l’utilizzo dei porti italiani come attracco per mercantili sauditi che portano armi in Medio Oriente per sostenere la guerra in Yemen e non solo.

Porto di Genova, ItaliaLicenza

Condanne che arrivano da più parti: l’osservatorio Weapon Watch denuncia da tempo queste attività e propone campagne di sensibilizzazione per avere “porti etici”.

Ancora a gennaio 2020, Patrick Wilken, ricercatore di Amnesty International, dichiarava: “Adesso, la volontà politica dei governi di rispettare il diritto internazionale viene messa nuovamente alla prova. Attivisti e lavoratori portuali sono già ampiamente allertati rispetto alla minaccia che la ‘Bahri Yanbu’ aggiri le norme internazionali in nome dei lucrosi accordi in materia di armi che hanno favorito uccisioni di civili in Yemen e una terribile catastrofe umanitaria“.

Le proteste del Calp, a Genova, risalgono a maggio 2019, quando “i portuali si rifiutarono di caricare sulla Bahri Yanbu due generatori registrati per uso civile ma che sarebbero stati in realtà impiegati dalla Guardia civile nel conflitto in Yemen”. Un’azione di boicottaggio che ha portato la compagnia saudita ad abbandonare lo scalo di Genova per un po’ ma che fece finire 5 portuali sotto inchiesta per associazione per delinquere.

Una protesta che ha trovato il sostegno di Papa Francesco, che il giugno scorso ha incontrato i portuali che avevano bloccato il carico nel 2019. Oggi quella compagnia è di nuovo in porto, a Genova, e il Calp sarà in presidio: una protesta che riguarda il contenuto del cargo, l’uso dei porti italiani e le politiche industriali, che ancora vedono nell’industria delle armi un settore imprescindibile, ma che riguarda anche la mancanza di informazioni e trasparenza su questi traffici.

Ad oggi il Governo italiano non ha cambiato il proprio approccio: non ci sono nuove regole per quanto riguarda il traffico d’armi che, anzi, sono state allentate per quanto riguarda l’export verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti nonostante il loro coinvolgimento nel conflitto in Yemen.

Temi sui quali, come Forumpace, ci siamo espressi già molte volte: non possiamo allentare l’attenzione. Esistono norme – interne e internazionali – che riguardano la regolamentazione delle esportazione di armi e prodotti bellici: in Italia, la legge 185/1990 dà il quadro normativo di riferimento, lo stesso quadro che ha inibito l’export verso Arabia ed Emirati Arabi durante il 2019.

Una legge, però, troppo spesso bypassata o ignorata, preferendo alla tutela dei diritti umani le logiche del mercato. Su questo, Rete Italiana Pace e Disarmo ha promosso, ancora lo scorso maggio, “un appello al Governo per ribadire la necessità di applicare in modo rigoroso e trasparente la Legge 185/90 e le norme internazionali che la rafforzano. Invitano inoltre il Parlamento a controllare in modo puntuale e approfondito le operazioni che riguardano l’export di armamenti: sono regole e controlli preposti alla salvaguardia della pace e della sicurezza comune, al rispetto dei diritti umani, alla tutela delle popolazioni e per dare attuazione al ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” sancito dalla nostra Costituzione (art.11)”.

Da qui dobbiamo proseguire.

Un Consiglio per i giovani!

Arriva anche in Consiglio provinciale un progetto di servizio civile: grazie a “Un Consiglio per i giovani!”, 3 giovani potranno sperimentare l’attività istituzionale del Consiglio provinciale, affiancando lo staff di tre uffici – l’Ufficio Stampa, l’Ufficio di Assistenza d’Aula e Commissioni e l’Ufficio di Presidenza – e le attività legate alle visite guidate del Consiglio con le scuole e con i gruppi di adulti.

Assieme al Presidente della Provincia e alla Giunta provinciale, il Consiglio provinciale è uno degli organi della Provincia Autonoma di Trento: in pratica è il Parlamento trentino, un organo rappresentativo, eletto a suffragio universale, diretto e segreto, l’organo di indirizzo politico della Provincia.

Gli scopi del progetto

Il progetto ha due scopi: da un lato, fornire ai giovani e alle giovani che saranno in servizio civile un’esperienza formativa dentro una struttura istituzionale complessa e di cittadinanza attiva; dall’altro, il progetto ha lo scopo di inserire uno sguardo diverso all’interno dello staff dei vari uffici coinvolti: la presenza di un/a giovane in servizio civile sarà l’occasione per coinvolgere uno sguardo diverso, originale, nell’attività ordinaria così come nella progettazione, pianificazione e realizzazione delle visite guidate al Consiglio.

In quel particolare contesto, poi, la presenza la presenza del/della giovane garantirà l’opportunità di dare alle visite una struttura più laboratoriale e partecipativa, tanto da parte degli studenti e delle studentesse quanto del corpo docente coinvolto.

Far parlare di pace e di diritti

Il Forumpace ha presentato un nuovo progetto di servizio civile. “Far parlare di pace e di diritti” ha lo scopo di coinvolgere un/a giovane nelle attività del Forum e, in particolare, nel lavoro con giovani e scuole.

Il progetto darà la possibilità al/la giovane di conoscere tanto la dimensione istituzionale quale quella associativa del Forum ma, soprattutto, gli/le darà modo di mettersi alla prova, di approfondire e sviluppare strumenti per diffondere la cultura della pace e dei diritti attraverso azioni e progetti pensati e costruiti insieme a studenti e studentesse.

Lo scopo dell’intero progetto è quello di elaborare strumenti condivisi e finalizzati a costruire comunità più coese, consapevoli e solidali, capaci di non pensare progetti “per i giovani” ma soprattutto “con” loro, attraverso l’attivazione di processi partecipativi e dal basso.

Questi percorsi non nascono dal nulla ma sono il frutto del lavoro che il Forum ha avviato già da molto tempo: il Forum va a scuola è la sezione in cui raccontiamo questi progetti, dalle Visite Consiglio ad OTIUM passando per il lavoro con le Assemblee di istituto o a progetti come Supereroi reali.

La rotta più lunga

Sono trascorsi quasi sei anni dall’estate del 2015, quando un milione di profughi passò da una nuova rotta migratoria, la Rotta Balcanica, e bussò alle porte d’Europa chiedendo rifugio. La politica difensiva adottata in questi anni da molti paesi europei ha coronato di chilometri di filo spinato i confini dell’Ue, potenziato la repressione della polizia di frontiera, creato dei giganteschi campi di confinamento legalizzati, quali gli hotspot, dove la vita dei migranti è al limite dell’umano, e lasciato senza alternative migliaia di persone come è avvenuto questo inverno a Lipa, in Bosnia e Erzegovina.

Quanto avviene lungo la rotta balcanica ci riguarda da vicino, sia per quello che sta succedendo lungo i Balcani sia per il fatto che quella rotta non si interrompe a Trieste ma prosegue, ininterrotta.

La campagna Cambiamo Rotta! è stata pensata per queste ragioni: a Lipa, a Bihac, in Bosnia, l’obiettivo è quello di realizzare alcune infrastrutture di base per dare sostegno e garantire la sopravvivenza delle persone che attraversano questo viaggio; in Trentino, vogliamo far sì che quante più persone possibili tengano gli occhi aperti. Costruire una fortezza sempre più sofisticata non solo non è la strada su cui continuare a costruire l’Europa ma mette in pericolo i diritti di tutte e di tutti.

Sì, perché quella che chiamiamo “fortezza Europa” è l’affermazione di un sistema – giuridico, politico, culturale – basato sull’idea che «l’universalismo dei diritti all’interno è accettabile se e nella misura in cui lo Stato selezioni in modo rigoroso i nuovi membri della comunità al confine» (M. Savino).

Hard outside, soft inside: questo universalismo di facciata si autoalimenta in un errore diffuso, quello di considerare le attuali modalità di migrazione dal Sud al Nord del mondo come le uniche possibili e, perciò, immutabili.

Un’idea, questa, che a lungo andare va a ledere il nocciolo essenziale dei diritti, spiana la strada alla (ri)emersione del nazionalismo, mina le fondamenta stesse dell’ordinamento europeo così come immaginato da Ventotene in avanti.


Per contribuire, con la causale PROGETTO BALCANI:   

Opera Diocesana Pastorale Missionaria Cassa Rurale Alto Garda IBAN: IT 28 J 08016 05603 000033300338. Conto corrente postale n. 13870381.  

Per i privati che usufruiscono della DETRAZIONE IRPEF Opera Diocesana Pastorale Missionaria – sezione ONLUS Cassa Rurale Alto Garda IBAN: IT 70 L 08016 05603 000033311172. Conto corrente postale n. 30663371.

Immaginare la sostenibilità per realizzarla: Vivila in 3D

A metà strada tra “i bei tempi andati” dei nonni e delle nonne, quando tutto veniva riutilizzato, e la consapevolezza che un consumo è critico solo se consapevole, “Riusalo!” sarà un viaggio attraverso mondi e modi di non buttare via niente, o quasi.

Le mille vite delle cose passano anche da questo: dalla nostra capacità di immaginarle.

Riusalo! – Vivila in 3d

Vivila in 3D è una campagna di sensibilizzazione ideata e realizzata da ragazze e ragazzi in servizio civile.

Il progetto è nato durante la pandemia, come coda lunga della campagna #COGLILA, e raccoglie 13 ragazzз , tra servizio civilistз ed ex, provenienti da 6 organizzazioni di servizio civile differenti, unite dalla volontà di dar vita ad una comunità capace di trovare la propria forza nelle sue differenze e di costruire percorsi comuni e sempre nuovi per migliorare le cose.

La campagna propone tre call to action che attraversano i temi della sostenibilità, nelle sue dimensioni ambientali, sociali ed economiche, proponendo un sistema produttivo diverso, che superi la logica del consumo e dello sfruttamento per dar vita a pratiche e politiche più consapevoli e capaci di prendersi cura delle persone e dell’ambiente.

Vivila in 3D

Partita da dentro le etichette, la campagna ha proposto articoli e interviste pe guardare in modo critico al modo in cui consumiamo: questo perché solo guardando dentro ciò che le etichette ci raccontano riusciamo a trovare le informazioni che ci servono per affrontare in modo critico le scelte di tutti i giorni e siamo in grado di mettere in discussione il sistema e il mondo dentro il quale ci muoviamo.

Scegliere meglio significa cambiare sguardo: il riuso diventa dunque l’approccio attraverso il quale agire, in un sistema economico circolare, per ridurre il nostro impatto sul mondo. Ed è proprio questo il fulcro della seconda azione proposta dalla campagna, che parte dall’economia circolare per andare a vedere come attraverso riduzione, riuso, riciclo, recupero e ricerca sia possibile trovare soluzioni alla crisi che è in atto da troppo tempo.

Consumo, rifiuti: il terzo tema, la terza azione riguarda la produzione sostenibile che lo è solo se critica e consapevole. Critica, perché il sistema produttivo dentro al quale siamo immersi non è l’unico possibile, anche se per molto tempo si è detto il contrario. Consapevole, perché alla base del benessere di pochi c’è lo sfruttamento di molti. Per rendere il mondo più giusto, a partire dalla più immediata prossimità e, via via, su scala sempre più globale, è necessario fare uno sforzo continuo: capire per conoscere, conoscere per immaginare, immaginare per cambiare. 

Dal suo – se volete – piccolo punto di osservazione, Vivila in 3D sta proponendo proprio questo. E, dalle pagine di un blog, sta uscendo – a poco a poco – nella vita reale, portando i suoi racconti tra le persone: lo ha fatto al Festival dell’Economia grazie a Sanbaradio, intervistando Francesca Forno e raccontando Nutrire Trento; lo ha fatto durante Sosteniamoci, evento promosso da GTV e ACAV, raccontando il peso del nostro rifiuto insieme a Chiara Lo Cicero, responsabile dell’Ufficio Rifiuti e Bonifiche della Provincia Autonoma di Trento.

Lo farà ancora, presto, portando in piazza le cose che ha scoperto, unendo i puntini tutte le volte che le sarà possibile farlo.

Non è un paese per giovani: OTIUM 2021

La terza edizione di OTIUM ha avuto tanti significati diversi: tornare a riempire i parchi con sedie e transenne, musica e dibattiti, incontri e imprevisti è stato il modo per sfogare quello che troppa DAD aveva imprigionato ma non sconfitto. Durante tutto il percorso di avvicinamento, le ragazze e i ragazzi che hanno immaginato questa edizione di OTIUM hanno messo in campo, ancora una volta, tanta forza di volontà e una buona dose di incoscienza.

Un percorso e non un singolo evento: in questo sta il valore aggiunto di OTIUM. Da una parte, lo scambio di esperienze e sensibilità tra studenti e studentesse, associazioni ed enti coinvolti. Dall’altra, la capacità di costruire un gruppo al di là della distanza imposta dalla pandemia.

A un mese da OTIUM 2021, quello che è rimasto di tutte le riflessioni fatte è il disallineamento – tra generazioni, tra punti di vista, tra sensibilità – ma anche l’enorme potenzialità: in un Paese che non è fatto per i giovani, trovare spazi di co-progettazione pensati per dare una progressiva autonomia a chi li partecipa è la strada maestra per rompere questa barriera, per smettere “pensare ai giovani” e di iniziare a “pensare con i giovani”.

Questi i temi al centro degli incontri che hanno animato il pomeriggio del 6 giugno, questo il senso della progettazione che ha dato vita a quella giornata: ecco il senso della chiacchierata con Jakidale sul contro-esempio dei giovani. Un contro-esempio rispetto al discorso dominante, che va oltre i “fannulloni”, oltre l’idea che non sia lavoro quello che in tanti stanno sperimentando grazie all’online. “La creatività, se sei limitato, ragiona ancora di più” osserva Jakidale, “la rivoluzione digitale, adesso è molto più possente: se prima avere un profilo social era una cosa in più, se la gente non può uscire di casa è una cosa fondamentale averlo“.

E questo, nella sua esperienza, riguarda tanto l’obiettivo quanto, soprattutto, il percorso: “il percorso ti dà tanto: non ti insegna tanto la cosa pratica ma ti insegna il modo di ragionare, il modo di fare, che è la cosa fondamentale“.

Accanto al percorso, il dialogo: la scuola e la politica sono state al centro degli altri due appuntamenti del pomeriggio. Mattia Bombardelli e Matteo Saudino hanno discusso con le ragazze e i ragazzi di OTIUM su come sta la scuola, dopo la pandemia ma non solo. “Proprio perché oggi le scienze sono ultraspecialistiche c’è bisogno di pensare alla complessità” osserva Saudino, “alla fine puoi avere una montagna di soldi, puoi avere mille conoscenze specifiche ma se non hai la capacità di guardare l’insieme, rimani povero”.

E in questa complessità ci sta anche l’uso del digitale a scuola: “il digitale, fuori, c’era già a tutti i livelli: c’era una specie di dissonanza tra la presenza massiccia del digitale a più livelli e l’assenza a scuola. Poi siamo passati ad un eccesso inverso, con la pandemia, in cui tutto è diventato digitale: la scuola italiana ha fatto un salto in avanti che avrebbe richiesto 10 anni, nell’uso delle tecnologie. Adesso è fondamentale riequilibrare: tornare ad una situazione in presenza in cui il digitale permane, non sparisce. Direi più digitale e più presenza“.

“Il digitale è fondamentale”, concorda Saudino “non solo come strumento ma come punto di vista da cui guardare il mondo. Il problema è l’equilibrio: la tecnologia è uno strumento e non un fine, ce lo insegna la storia”. E continua: “tutti gli strumenti, a loro volta, non sono neutri: uno strumento passa nelle mani dell’essere umano. Bisogna ribadirlo: durante la pandemia alcuni, come sacerdoti della tecnologia, pontificavano su un nuovo mondo che si apre. Ogni mondo nuovo, come ci insegna Huxley, è pieno di zone d’ombra. La tecnologia va umanizzata, ecologizzata e va, soprattutto, indirizzata politicamente verso l’emancipazione, la libertà, la crescita personale, culturale delle persone, dentro una rete di diritti e di uguaglianza”.

Riflettere di digitale, tecnologia e del loro utilizzi chiama in causa una riflessione sui contenuti che si trasmettono: “ci sono tante cose che facciamo che sono importanti e dobbiamo continuare a fare”, osserva Bombardelli, “ma ci sono anche tantissime altre tematiche ugualmente importanti che a scuola non entrano, in questo momento, provocando dei danni al Paese, anche significativi. […] Ormai siamo arrivati al punto in cui non è più tanto importante imparare tanti dati perché l’accesso ai dati è diventato molto semplice al giorno d’oggi. Abituiamo gli studenti a valutare i dati che trovano, usarli in maniera intelligenti, fare collegamenti, dedicarsi al problem solving, lavorare sulle soft skills – tipo la comunicazione: quelle sono le cose più strategiche, il favore più grande che possiamo fare ai ragazzi”.

E di politica e del modo in cui pensa più “ai giovani” che “con i giovani” si è parlato con il Sindaco di Trento, Franco Ianeselli, e il Rettore Flavio Deflorian: un dibattito serrato, aperto e franco tra punti di vista a volte molto diversi, spesso in difficoltà a trovare punti di contatto. I temi caldi, dal lavoro all’orientamento universitario alla movida, sono stati affrontati proprio a partire dalle difficoltà di coinvolgimento e da una più generale crisi nella capacità delle istituzioni di ascoltare e rappresentare gli interessi delle persone più giovani.

Un dibattito che si è chiuso con una promessa: quella di tenere aperti i canali di comunicazione, di mantenere appuntamenti in cui aggiornarsi, in cui continuare a discutere e costruire una comunità larga, accogliente, attenta, capace di tornare a rappresentare gli interessi, i bisogni e i desideri di tutte e di tutti.