La sera del 25 luglio il presidente tunisino Kais Saied ha sospeso i lavori del Parlamento e ha sollevato dall’incarico il primo ministro Hicham Mechichi, destituito in un contesto di forte rabbia popolare contro l’esecutivo e la sua gestione della crisi economica e sanitaria.
Le protese di quei giorni sono coincise con festeggiamenti la notte tra il 25 e il 26 luglio, con molti sostenitori del presidente Saied scesi in piazza per celebrare la sua decisione che, di fatto, ha aperto la peggiore crisi politica in Tunisia dalle primavere arabe.
Il partito di maggioranza alle scorse elezioni, Ennahdha, ha parlato di “colpo di stato” e, durante questo mese di sospensione, ha criticato il presidente Saied. Accuse che trovano sostenitori anche in altri esponenti tunisini: tra questi, Yadh Ben Achour, giurista, attualmente membro del Comitato dei diritti umani delle Nazioni unite, ha guidato la transizione tunisina dalla Rivoluzione del gennaio 2011 sino all’elezione dell’Assemblea costituente.
Intervistato in quei giorni da Orsetta Giolo e Renata Pepicelli per ilmanifesto, Ben Achour ha evidenziato il fatto che la scelta di adottare l’art. 80 della Costituzione tunisina (articolo che autorizza il presidente a sospendere i lavori del Parlamento in caso di “pericolo imminente”) è una di numerose interpretazioni arbitrarie del testo della Costituzione che il presidente Saied ha dato nel corso del suo mandato.
“Il presidente”, sottolineava Ben Achour in quell’intervista, “si è concesso le prerogative di un vero dittatore, concentrando nelle sue mani il potere esecutivo, il potere legislativo e il potere giudiziario. Non so come altro si potrebbe chiamare tutto questo se non un colpo di stato contro la Costituzione”.
La scelta del presidente tunisino ha suscitato anche diverse risposte da parte della comunità internazionale: Amnesty International ha fin da subito sottolineato il rischio cui sono sottoposte le libertà e i diritti conquistati dal popolo tunisino dopo la caduta del regime di Ben Ali e le proteste delle primavere arabe del 2011. “Il presidente Kais Saied deve assicurare che ogni azione che egli ordini sia strettamente in linea con gli obblighi di diritto internazionale della Tunisia e, in particolare, che non vi siano purghe politiche”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
Appelli rimasti inascoltati: le cronache dell’ultimo mese, infatti, sono piene di esempi di ritorsioni, purghe e carcerazioni da parte del presidente Saied nei confronti di oppositori politici e critici.
Non solo: a fronte di molte inchieste giudiziarie che, negli ultimi anni, procedevano a marce ridotte, dalla sospensione del Parlamento il presidente tunisino ha stabilito che ad occuparsene sia la giustizia militare. Ad inizio agosto, a questa scelta era corrisposta la reazione di Amnesty International Tunisia, che “si è detta inquieta rispetto al ricorso frequente a tribunali militari per processi di civili facendo riferimento al caso di Yassine Ayari [parlamentare indipendente, critico nei confronti del presidente Saied, ndr], più volte perseguito per «diffamazione e oltraggio dell’istituzione militare», non solo sotto Kais Saied”.
Durante la notte tra il 23 e il 24 agosto, questo regime di sospensione è stato prorogato “fino a nuovo avviso“: una scelta che apre ad una nuova fase di incertezza in un Paese che aveva riposto fortissime speranze nella rivoluzione dei gelsomini ma che non è mai riuscito ad avere lo slancio necessario per portarla alle sue estreme conseguenze.
Ad oggi non è chiaro quanto consenso goda tra la popolazione il presidente Saied: l’analista Mariam Salehi, intervistata da DieWelle, osserva che “è importante ricorda che il percorso di democraticizzazione della Tunisia non è stato lineare e, ora, le persone sono preoccupate da tutto questo”. Alla domanda se la situazione tunisina sia paragonabile a quella che ha portato all’instaurarsi dell’attuale regime in Egitto, nel 2013, la dott.ssa Salehi risponde: “non direi questo: gli eventi in Egitto si sono succeduti con molta più rapidità mentre i fatti di questi giorni seguono logiche proprie della Tunisia. Non credo che si possa già parlare di uno ‘scenario egiziano’, in questo caso”.