La terza edizione di OTIUM ha avuto tanti significati diversi: tornare a riempire i parchi con sedie e transenne, musica e dibattiti, incontri e imprevisti è stato il modo per sfogare quello che troppa DAD aveva imprigionato ma non sconfitto. Durante tutto il percorso di avvicinamento, le ragazze e i ragazzi che hanno immaginato questa edizione di OTIUM hanno messo in campo, ancora una volta, tanta forza di volontà e una buona dose di incoscienza.
Un percorso e non un singolo evento: in questo sta il valore aggiunto di OTIUM. Da una parte, lo scambio di esperienze e sensibilità tra studenti e studentesse, associazioni ed enti coinvolti. Dall’altra, la capacità di costruire un gruppo al di là della distanza imposta dalla pandemia.
A un mese da OTIUM 2021, quello che è rimasto di tutte le riflessioni fatte è il disallineamento – tra generazioni, tra punti di vista, tra sensibilità – ma anche l’enorme potenzialità: in un Paese che non è fatto per i giovani, trovare spazi di co-progettazione pensati per dare una progressiva autonomia a chi li partecipa è la strada maestra per rompere questa barriera, per smettere “pensare ai giovani” e di iniziare a “pensare con i giovani”.
Questi i temi al centro degli incontri che hanno animato il pomeriggio del 6 giugno, questo il senso della progettazione che ha dato vita a quella giornata: ecco il senso della chiacchierata con Jakidale sul contro-esempio dei giovani. Un contro-esempio rispetto al discorso dominante, che va oltre i “fannulloni”, oltre l’idea che non sia lavoro quello che in tanti stanno sperimentando grazie all’online. “La creatività, se sei limitato, ragiona ancora di più” osserva Jakidale, “la rivoluzione digitale, adesso è molto più possente: se prima avere un profilo social era una cosa in più, se la gente non può uscire di casa è una cosa fondamentale averlo“.
E questo, nella sua esperienza, riguarda tanto l’obiettivo quanto, soprattutto, il percorso: “il percorso ti dà tanto: non ti insegna tanto la cosa pratica ma ti insegna il modo di ragionare, il modo di fare, che è la cosa fondamentale“.
Accanto al percorso, il dialogo: la scuola e la politica sono state al centro degli altri due appuntamenti del pomeriggio. Mattia Bombardelli e Matteo Saudino hanno discusso con le ragazze e i ragazzi di OTIUM su come sta la scuola, dopo la pandemia ma non solo. “Proprio perché oggi le scienze sono ultraspecialistiche c’è bisogno di pensare alla complessità” osserva Saudino, “alla fine puoi avere una montagna di soldi, puoi avere mille conoscenze specifiche ma se non hai la capacità di guardare l’insieme, rimani povero”.
E in questa complessità ci sta anche l’uso del digitale a scuola: “il digitale, fuori, c’era già a tutti i livelli: c’era una specie di dissonanza tra la presenza massiccia del digitale a più livelli e l’assenza a scuola. Poi siamo passati ad un eccesso inverso, con la pandemia, in cui tutto è diventato digitale: la scuola italiana ha fatto un salto in avanti che avrebbe richiesto 10 anni, nell’uso delle tecnologie. Adesso è fondamentale riequilibrare: tornare ad una situazione in presenza in cui il digitale permane, non sparisce. Direi più digitale e più presenza“.
“Il digitale è fondamentale”, concorda Saudino “non solo come strumento ma come punto di vista da cui guardare il mondo. Il problema è l’equilibrio: la tecnologia è uno strumento e non un fine, ce lo insegna la storia”. E continua: “tutti gli strumenti, a loro volta, non sono neutri: uno strumento passa nelle mani dell’essere umano. Bisogna ribadirlo: durante la pandemia alcuni, come sacerdoti della tecnologia, pontificavano su un nuovo mondo che si apre. Ogni mondo nuovo, come ci insegna Huxley, è pieno di zone d’ombra. La tecnologia va umanizzata, ecologizzata e va, soprattutto, indirizzata politicamente verso l’emancipazione, la libertà, la crescita personale, culturale delle persone, dentro una rete di diritti e di uguaglianza”.
Riflettere di digitale, tecnologia e del loro utilizzi chiama in causa una riflessione sui contenuti che si trasmettono: “ci sono tante cose che facciamo che sono importanti e dobbiamo continuare a fare”, osserva Bombardelli, “ma ci sono anche tantissime altre tematiche ugualmente importanti che a scuola non entrano, in questo momento, provocando dei danni al Paese, anche significativi. […] Ormai siamo arrivati al punto in cui non è più tanto importante imparare tanti dati perché l’accesso ai dati è diventato molto semplice al giorno d’oggi. Abituiamo gli studenti a valutare i dati che trovano, usarli in maniera intelligenti, fare collegamenti, dedicarsi al problem solving, lavorare sulle soft skills – tipo la comunicazione: quelle sono le cose più strategiche, il favore più grande che possiamo fare ai ragazzi”.
E di politica e del modo in cui pensa più “ai giovani” che “con i giovani” si è parlato con il Sindaco di Trento, Franco Ianeselli, e il Rettore Flavio Deflorian: un dibattito serrato, aperto e franco tra punti di vista a volte molto diversi, spesso in difficoltà a trovare punti di contatto. I temi caldi, dal lavoro all’orientamento universitario alla movida, sono stati affrontati proprio a partire dalle difficoltà di coinvolgimento e da una più generale crisi nella capacità delle istituzioni di ascoltare e rappresentare gli interessi delle persone più giovani.
Un dibattito che si è chiuso con una promessa: quella di tenere aperti i canali di comunicazione, di mantenere appuntamenti in cui aggiornarsi, in cui continuare a discutere e costruire una comunità larga, accogliente, attenta, capace di tornare a rappresentare gli interessi, i bisogni e i desideri di tutte e di tutti.