Attivismo e cura del mondo sono due degli orizzonti d’azione che il Forum si è dato in questi trent’anni, due degli elementi su cui abbiamo più riflettuto nel corso della rassegna “Eppure il vento soffia ancora”.
Nel “Manifesto della cura. Per una politica dell’interdipendenza”, volume del collettivo inglese The Care Collective, pubblicato e tradotto in Italia da Edizioni Alegre, ad un certo punto viene detto chiaramente: “se la cura diventasse il principio organizzativo di tutti gli stati del mondo, infatti, la disuguaglianza economica e le migrazioni di massa diminuirebbero e l’ingiustizia ambientale troverebbe rimedio grazie all’impegno reciproco alla cura del mondo”.
Questo tratto comune, legato alla cura del mondo e delle relazioni che lo attraversano, lega le nostre riflessioni e ha avuto particolare risalto nelle chiacchiere e negli approfondimenti del 10 giugno scorso, data del “compleanno” del Forum.
Dentro al tendone del Trento Film Festival, il dialogo tra Marirosa Iannelli, Monica Di Sisto, Roberto Barbiero e Paulo Lima, ci ha offerto l’occasione di attraversare la società della cura, quella che già esiste e quella che ancora non c’è. La crisi – climatica, sociale, economica, culturale, umana – sullo sfondo e i grandi temi del presente in primo piano: i limiti di una politica che guarda all’oggi e la necessità di immaginare un Recovery Planet; l’interconnessione – tra diritti, crisi, responsabilità – e la necessità di farvi fronte attraverso un lavoro di rete, generativo e partecipato.
E la cura è uno dei temi che ha attraversato, quella sera, il dibattito tra ex che ha visto protagonisti Roberto Pinter, Violetta Plotegher, Vincenzo Passerini, Katia Malatesta e Michele Nardelli.
“Il Forum della pace non ha dato vita al movimento – il movimento, semmai, ha ispirato la nascita del Forum della pace”, ci ha ricordato Pinter, “ha permesso, però, una cura continua e quindi anche di coprire, non solo come strumenti, sostegno e politiche ma anche di coordinare, dare voce, dare forza”.
La discussione, poi, ha guardato anche moltissimo al modo in cui le esperienze che il Forum ha incrociato in questi anni ancora raccontino molto al nostro mondo: ce lo ha ricordato Vincenzo Passerini, ripercorrendo gli anni della sua presidenza – dal G8 di Genova alle Torri Gemelle, dalla guerra in Afghanistan alla seconda guerra del Golfo: “a Genova”, ricorda, “è stato terribile perché si è voluto colpire la manifestazione pacifica e si è voluto lasciare i black block a distruggere il centro di Genova senza intervenire. Tutto questo, con una risonanza mediatica enorme: il movimento per la pace ha preso così un colpo terribile”.
Ma non solo: le riflessioni che hanno attraversato le presidenze oggi ancora ci offrono lo spunto per immaginare il futuro del Forum: “bisogna far sì che si faccia tesoro dell’esperienza delle guerre perché l’educazione alla pace va fatta anche attraverso lo smascherare la menzogna continua della guerra, sia prima, sia durante e sia dopo”, conclude Passerini.
E Michele Nardelli ci invita a riflettere sull’ipocrisia di alcune delle parole che più usiamo: “non c’è soltanto la banalità del male”, osserva, “c’è anche la banalità del bene. Del fatto – cioè – di accontentarsi di fare del bene quando, in realtà, esistono problemi di natura strutturale senza la risoluzione dei quali non c’è alcuna possibilità di venire a capo delle ragioni di fondo che determinano le guerre, sia quelle tradizionali che quelle nuove”.
Tutto questo in un contesto cambiato che, però, non può coglierci del tutto impreparati: “credo che occorra un’educazione permanente alla nonviolenza, alla capacità di relazione non-conflittuale con l’altro della generazione adulta”, osserva Violetta Plotegher, aggiungendo “una delle violenze quotidiane che verifichiamo è la violenza di genere: non è stato un tema che ha lasciato indifferente il Forum. Se di conflitti, di guerre, dobbiamo parlare, dobbiamo parlare anche delle opportunità e delle dimensioni positive per farci fronte”.
“Al Forum si parla di pace sempre attraverso qualcos’altro”, ricorda Katia Malatesta, “Forse è proprio una strategia inevitabile perché si fa fatica, altrimenti, a superare quel muro di indifferenza nei confronti di parole che appaiono retoriche. Eppure, dall’altra parte, abbiamo davanti l’effervescenza di un nuovo attivismo: le mobilitazioni giovanili che, per certi aspetti, ci hanno presi alla sprovvista e con cui dobbiamo dialogare attorno al tema cruciale del cambiamento climatico, dell’emergenza climatica”.
Un attivismo che ha forme e modalità nuove, che non si riconosce necessariamente nell’associazionismo classico ma a cui (e con cui) deve dialogare sui temi e nel proporre un approccio intersezionale a fronte delle battaglie complesse del nostro presente.In questo, osserva Malatesta “sono le istituzioni ad essere in grave ritardo rispetto a queste mobilitazioni: cosa fa la politica? In questo il Forum può avere ancora una sua funzione come strumento di coordinamento, come anello tra la società civile e le istituzioni”.