La Giornata internazionale della donna celebra i progressi in ambito economico, politico e culturale raggiunti dalle donne in tutto il mondo. E’ solo nel 1977 che le Nazioni Unite decidono di invitare tutti gli Stati membri ad indicare una data, secondo i propri calendari e le proprie tradizioni, in cui celebrare questa Giornata, una ricorrenza che ha una storia molto più lunga.
L’8 marzo non è “solo” una giornata di celebrazione: rappresenta una lotta quotidiana, l’occasione per riflettere su quanto l’uguaglianza di genere sia ancora lontana dall’essere raggiunta nel mondo. E gli ostacoli sono legislativi tanto quanto culturali: “tutti gli Stati sono patriarcali” scrive Joni Seager su L’Atlante delle Donne (add editore).
Lo sono quando hanno a che fare con il singolo cittadino e lo sono in molti modi diversi. Per questo, la questione femminile e femminista riguarda tutte e tutti:
La mia definizione di “femminista” è questa: un uomo o una donna che dice sì, esiste un problema con il genere così com’è concepito oggi è dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio. Tutti noi, donne e uomini, dobbiamo fare meglio.
Chimamanda Ngozi Adichie
Per questo, l’8 marzo saremo in piazza accanto a Non una di meno e alle altre associazioni promotrici della manifestazione, in Piazza Duomo a Trento, a partire dalle ore 15.
I numeri.
“Nel mondo delle donne”, scrive ancora Seager, “esistono pochi Paesi ‘sviluppati’ e guardare il mondo attraverso la realtà femminile solleva dubbi sulla validità delle consuete distinzioni tra Paesi ‘sviluppati’ e ‘sottosviluppati’”.
Solo il 17 per cento di tutti i capi di stato o di governo e il 23 per cento dei parlamentari nel mondo sono donne.
I Paesi con la rappresentanza più alta sono, nell’ordine, Rwanda (61,3%), Cuba (53,4%), Emirati Arabi (50%) e Nicaragua (48,4%). In Europa, Svezia, Andorra, Finlandia e Norvegia sono le più virtuose (tra il 40 e il 50%). L’Italia si colloca al 36° posto con il 35,7%; la Germania al 49°, con il 31,5%.
Alla rappresentanza politica si affiancano altre fondamentali diseguaglianze: nel salario percepito (in Europa, ad esempio, le donne guadagnano in media il 15% in meno degli uomini:); nella possibilità di avere accesso all’acqua (particolarmente importante per le donne e i bambini che trascorrono buona parte del loro tempo alla ricerca dell’acqua); nelle violenze subite (solo in Italia, 6 milioni 788 mila donne nella fascia 16-70 anni – il 31,5% – ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale; la media mondiale, nel 2010, era del 30%); nell’accesso alle cure, dalla contraccezione all’aborto, dal parto sicuro alla medicina di genere.
L’insieme di questi – e altri – elementi va a comporre il Global Gender Gap Index, uno strumento sviluppato dal World Economic Forum e che misura, Paese per Paese, l’ampiezza del divario tra uomini e donne. Alle prime posizioni ci sono quei Paesi che hanno risolto almeno l’80% del loro divario: nell’ordine, Islanda, Norvegia, Finlandia. In quinta posizione, il Nicaragua (primo Paese dell’America latina); in sesta la Nuova Zelanda (primo Paese dell’Oceania). Il Ruanda, con la sua nona posizione, è il primo Paese africano seguito – alla 12° posizione – dalla Namibia. Le Filippine (16° posizione) sono il primo Paese asiatico: rispetto al 2018, data dell’ultima misurazione, ha perso otto posizioni. Il Canada (19° posizione) stacca – di molto – gli Stati Uniti d’America (53°).
L’Italia è alla 76° posizione.
Le scelte.
I numeri descrivono il problema, non lo risolvono.
Serve fare delle scelte: la scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie, nel saggio Dovremmo essere tutti femministi, risponde alla domanda “perché parli delle donne?” in questo modo:
C’è chi chiede: “Perché la parola femminista”? Perché non dici semplicemente che credi nei diritti umani, o giù di lì?” Perché non sarebbe onesto. Il femminismo ovviamente è legato al tema dei diritti umani, ma scegliere di usare un’espressione vaga come “diritti umani” vuol dire negare le specificità del problema del genere. Vorrebbe dire tacere che le donne sono state escluse per secoli. Vorrebbe dire negare che il problema del genere riguarda le donne, la condizione dell’essere umano donna, e non dell’essere umano in generale.
L’8 marzo ci parla di tutto questo e di molto altro ancora.
L’8 marzo è una ricorrenza, un monito, un promemoria permanente della necessità di perseverare in ciò che è giusto. Dare alle donne e alle ragazze pari accesso all’istruzione, alle cure sanitarie, ad un lavoro dignitoso e alla rappresentanza nel processo decisionale politico ed economico favorirebbe economie sostenibili e beneficerebbe le società e l’umanità intera.
Dirsi femministə significa lottare contro tutte queste disuguaglianze: per i diritti e per la pace, contro la violenza nei linguaggi e nelle azioni.
Il Forum Pace, insieme alla Commissione provinciale pari opportunità, con i Centri antiviolenza, le reti e le associazioni che tutelano i diritti della donna sono in prima linea in questa battaglia: perché nessuna sia lasciata indietro, perché tutte possano vivere libere dalla gabbia paralizzante dell’umiliazione e della paura.